mercoledì 18 giugno 2008

UN UOMO A DUE DIMENSIONI

Ogni volta che mi capita di parlare di pre Toni Beline mi pare di sentirlo a fianco come se mai mi avesse lasciato. Il rapporto particolare che ho avuto con lui si rinnova ogni sera quando lo penso. Non posso dimenticare l’aiuto che mi ha dato, il conforto e l’ amicizia con cui mi è stato vicino nella mia esperienza di malattia. E’ rimasto per me un importante punto di orientamento.
E’ con questa emozione che vi voglio parlare di lui, nel tentativo di trasmettervi oltre che il ricordo anche un invito ad avvicinarvi o a continuare a frequentare questo “profeta e pastore”, per coglierne suggerimenti, stimoli e un po’ di luce per illuminare la nostra strada.
Ha scritto sui molti problemi dell’uomo: sulla vita, sulla morte, sulla malattia, sul ridere, sul parlare e sul tacere, sulla fede e sul dubbio che la insidia. Per i suoi numerosi libri, articoli, pubblicazioni è considerato il più prolifico scrittore in lingua friulana di tutti i tempi. Questa è pure la motivazione della laurea “honoris causa”che avrebbe ricevuto questo anno. Mi limiterò ad accennare solo a tre titoli augurandomi che ci sia in futuro qualcuno che ci parli di: “ Scior Santul, Tjere di confin, Sull’at di voltâ pagine, Pre Pitin, Misteris gloriôs, Trilogje, La Fabriche dai predis (ignominiosamente sottratto alla nostra conoscenza e tuttora sotto sequestro), Et incarnatus est, Cirint lis olmis di Diu e v-i.
Prima però vorrei parlarvi dei suoi quadri naif che sono il mio scoop...
Nessuno vi ha mai parlato di un pre Toni pittore. Io li ho trovati meravigliosi proprio per la leggerezza che li ha ispirati e per la serenità infantile che comunicano. Li osservavo ogni volta che andavo a casa sua.
Mi ripromettevo sempre di chiedergli che me ne regalasse uno... Mi devo accontentare delle fotografie.

L’opera per cui sarà sicuramente ricordato nella storia della cultura friulana è la traduzione della Bibbia nella lingua friulana. “Cheste lenghe -al scriveve- sute, essenziâl, concrete, fate di pocjs peraulis, ma dolcis come la mîl e duris come il cret”. Un lavoro enorme, monumentale (oltre 2600 pagine, con note ed introduzioni per ognuno dei 72 libri canonici) . Un libro che dovrebbe essere in ogni casa , vi sia o no uno che crede , perché è sì il libro di un popolo, ma anche il libro della storia dell’uomo con le sue virtù e le sue debolezze ed è la storia eterna di Dio che va in cerca dell’uomo. E’ un libro che può esistere ed aver significato per noi solo se riusciamo, ogni tanto, ad aprirlo ed a leggervi qualche riga. Quando vedrete questo libro immaginatevi di sentire pre Toni che vi dice:

Viodeit che no ài sfadiât dome par me (Si 24,32)

Pre Toni ha scritto quasi solo in friulano.

Vi presentiamo oggi due libri, in italiano, che sono, in un certo senso, singolari: “La fatica di esser prete” è il suo ultimo, mentre “Dal profondo” è la prima traduzione dal friulano in italiano da lui autorizzata e seguita. Personalmente ritengo che questo sia il più bello dei libri di pre Toni. Vi si trova tutta la sua umanità e serenità di fronte alla malattia.
“La fatica di esser prete” è nato per caso. Ho avuto più volte il privilegio di intervistare pre Toni, in collaborazione con VTC, una emittente televisiva che trasmette da Treppo C., ed è sintonizzabile solo nella valle del But. Perchè pre Toni si è lasciato interrogare, anche su argomenti contundenti, solo da noi?: Prima da Celestino Vezzi che lo conobbe quando era parroco a Rivalpo, poi da me che lo avevo visto frequentare il “vagone” l’aula in cui, nei tempi d’oro della “fabriche”, gli studenti di teologia seguivano le lezioni della volgarmente detta “scuele nere”? Amava particolarmente la Carnia ed in particolare la valle del But. Lassù c’è l’antica pieve di San Pietro, tuttora sede vescovile. Arrivato giovanissimo in Carnia a pre Toni, in quanto parroco di san Martino, spettava di diritto il titolo di “Cjaluni” canonico, forse la più alta carica mai raggiunta nella sua inconsistente carriera ecclesiastica. In aggiunta un altro motivo: sua madre era carnica di Davai, dove pre Toni trascorse alcuni momenti della sua giovinezza. Forse queste coincidenze spiegano la simpatia che ha dimostrato nei nostri confronti. Le interviste furono trasmesse da VTC e quindi da Telefriuli che le ha più volte replicate. Pre Toni ebbe un successo immediato : “al sbusave la television e al entrave tes cjasis come un amî e no pai cops come un lari o un imbroion”. Dopo l’ultima di queste, l’editore Santarossa, come aveva già fatto in passato, provò a richiedere a pre Toni, sempre fedele al friulano, di scrivere queste interviste in italiano e fortunatamente lo convinse. Quando mi telefonò per chiedermi che cosa ne pensavo gli manifestai il mio entusiasmo e mi misi subito al lavoro.
Nel libro si trovano molte delle idee e della storia di pre Toni. E’ una sintesi del suo pensiero e della sua fede.
In questo anno trascorso dalla sua morte sono stato colpito dal gran numero di persone che lo hanno conosciuto e dal gran numero di persone che lo avrebbero voluto conoscere. Attraverso il libro intervista molti hanno appreso che c’era un uomo “camminava con loro” e non se ne erano resi conto. Alcuni di questi hanno provato a cercarlo nei suoi libri. Qualcuno ne è rimasto affascinato, al “à cjapât gole”. Ecco quanto mi scriveva tre giorni fa una sua “ammiratrice” che ha cominciato a tradurre in italiano per le sue amiche gli scritti di pre Toni: “ Non so se approverebbe il mio lavoro, ma l’intento credo sia lodevole: cercare di renderlo comprensibile anche a chi non parla o legge il friulano. Poi dall’italiano lo si potrà tradurre in altre lingue, di modo che il suo patrimonio di pensiero non resti circoscritto ai pochi che leggono il friulano”.

Che cosa ci ha lasciato? Quali valori fondamentali, quali insegnamenti, orientamenti, consigli fanno parte della sua eredità? E questa è una eredità per tutti, anche se non si è friulani, anche se non si è credenti o la nostra fede convive con qualche dubbio o con qualche umana incoerenza? Sono convinto che il messaggio di pre Toni può aiutare chiunque cerchi e chiunque sia disposto ad ascoltare. Ritengo, pure io, che il suo pensiero vada divulgato e fatto conoscere traducendo, piano piano, tutto quello che ha scritto in friulano. Ci sono certe riflessioni e certe meditazioni che non possono essere destinate solo a chi si cimenta nella lettura del friulano!

Mi sono chiesto più volte la ragione di questo suo fascino trasversale, nel senso che attira persone di diverse età e cultura. Ho pensato che sia dipeso da più fattori. Ve ne propongo alcuni che ho colto ripensando ai nostri incontri e rimeditando su alcune parole che ci ha lasciato.
UOMO DI FEDE
E’ stato un uomo di fede. Una fede , dono di Dio, che si inserisce in una coscienza aperta, non scettica di fronte al mistero, consapevole dei propri limiti e di una dignità che la rende soggetto della storia ed oggetto dei disegni di Dio: pre Toni non è un uomo ad una dimensione! Agisce secondo un duplice orientamento: quello verticale che ti fa riflettere su Dio, sui valori spirituali, su quello che va oltre la finitezza ed i limiti umani :
Ogni tant cjalait il cîl. No par viodi ce tinp ch’al è, ma par savê là ch’o vin di rivâ. E copuartaisi conforme. (Sul at di voltâ pagjne p. 176)
e quello orizzontale che ti pone di fronte al mondo, all’altro, al male, al dolore. Un atteggiamento non facile e non privo di contraddizioni.
Il male e il dolore non sempre ci avvicina a Dio…Il male, qualunque male , non è necessariamente la strada che ci conduce a Dio. Potrebbe anche accadere che questa strada ci allontani da Lui, perché il male, il dolore, la morte sono in definitiva delle tentazioni (Olmis IV,p.23).
In questa riflessione , si può cogliere una fede vissuta in modo sereno e propositivo, con poche sicurezze e molte incertezze, insomma una fede umile e rasserenante, non pessimistica o tenebrosa.
Una fede a misura umana, alla nostra portata:
Sperâ simpri, ma jessi pronts ancje al piês. Meti in cont l’eventualitât negative, ma no pierdi mai la gole di vivi e di scombati. (Ricordo di Maria Moschioni)
No sai ce che l’avignî mi distinarà. O stoi però spietant simpri il meracul. Di imparâ a cjaminâ tal scûr. (De Profundis p. 113)

Per quanto la gente si aspetti dal prete certezze, lui non nasconde di avere molti dubbi e di essere incalzato dalle domande esistenziali. Non aveva paura ad esprimersi in modi non conformi, forse “anarchici”. Racconta di un uomo di Trelli “malât di timôr, tal stomi, che cuant che al veve dolôrs di cainâ, si meteve a blestemâ. “Mi pâr che a mi zovin”, -mi à confidât-. “ e alore blesteme, i ai rispuindût. Se diu al scolte lis tôs blestemis, al scoltarà ancje i tiei berlis.”
Per un momento immaginatevi di essere perplessi, incerti sulle vostre convinzioni, insicuri delle volte scelte e di incontrare un amico che , sinceramente, vi dice:
No sai se je fede o disperazion o fatalitât, ma la nestre vite e à di vê un sens , ancje se nô no rivin a capîlu. (De Profundis p. 67)
Sentiamo da Cristina Benedetti come affronta il “ mistero” che coinvolge ogni esperienza di fede: Ñ
La parola mistero non vuol dire che si tratta solo di una cosa profonda, di una cosa nascosta, ma di una cosa inaccessibile alla mente umana. Il mistero è come un iceberg. Si vede qualcosa sopra, ma la realtà più grande, più ricca, più stimolante, più vitale, rimane sommersa. La si può immaginare, ma non definire. E’ in profondità abissale, come quei pesci o mostri marini che vivono stabilmente nelle profondità dell’oceano, dove non riesce a penetrare nemmeno la luce. Quindi il mistero è insondabile, incomprensibile, indefinibile, inspiegabile, indecifrabile, altrimenti non sarebbe mistero. Posso, tuttavia, avvicinarmi ad esso non eliminando il mistero, ma cercando in che cosa il mistero aiuta me. Se capisco qualche cosa, il mistero ha senso; se resta assolutamente imperscrutabile, non ha senso.
Ovvio che non pretendo di arrivare a capire Dio, ma devo capire perché questo mistero mi viene rivelato e perché, se mi viene rivelato, può giovare a me. Ora io non pretendo di capire che cos’è la Trinità, perché non arriverò mai a capire come uno e tre possono andare d’accordo. Come per l’incarnazione e resurrezione, anche sulle tre persone di un’unica divinità hanno litigato per secoli in occidente e soprattutto in oriente! A me non interessa di andare a rompere il giocattolo per sapere come è fatto, come sono soliti fare i bambini. A me interessa chiedermi: questo mistero, questa verità insondabile che mi viene rivelata, mi serve e in che modo? Cosa mi giova? Questo non è tentare di spiegare il mistero, ma usare il mistero perché giovi a me. Che cosa posso portare, nella mia vita limitata, del mistero illimitato di Dio. Quindi il mio non è un tentativo sciocco e patetico di esaurire le profondità del mistero, ma il desiderio legittimo di usare, studiare, approfondire il mistero perché sia utile, positivo per la mia vita.
…Che cosa posso ca(r)pire io di questo grande mare di fuoco, che cosa posso portare via per accendere la mia testa e il mio cuore? In questo oceano di verità, di profondità, di sapienza, posso attingere un sorso per ristorare la mia sete? Come posso partecipare anch’io alla vita di Dio, alla sua trinità e unità, alla sua incarnazione?”. Davanti a Dio è opportuno abbassare la testa ed adorare, così come davanti alle cose di questo mondo è giusto aprire gli occhi, ragionare più che si può e non accettare alcun mistero. A tale proposito non capisco come molti del clero, parroci e vescovi, sappiano tutto (o quasi) sulla eternità, sul paradiso e l’inferno e non sanno, o non vogliono sapere quello che succede in comune, in regione, al parlamento, ma anche nel mondo dell’economia, delle grandi concentrazioni industriali, nei luoghi dove si progetta in bene e in male a livello planetario. Si commuovono davanti alle statue che piangono, ma non hanno tempo né sensibilità per guardare le lacrime reali e grandi come noci delle persone che gli stanno intorno! Tutto questo è alienante ed umiliante. Tornando a noi, non perdo quindi tempo a spiegare quello che non so e che nessuno sa. Mi interessa la Trinità, perché mi fa capire che Dio non è un solitario, indifferente, narcisista, uno scapolo autosufficiente e scostante, ma un Dio di relazione, un Dio che riceve e dà amore, un Dio dinamico, creativo, ricettivo. Non una statica eternità barbosa, ma una realtà vitale, relazionata e dinamica, un cerchio abbagliante di luce e di fuoco. In sintesi il mistero della Trinità è quello di riuscire a combinare l’unità con la diversità, l’uguaglianza con la differenza, la totalità con la parzialità. (“la Fatica di esser prete p.124-125-126)
In un commento al vangelo di Giovanni (20,19-23) che si leggeva a Pentecoste, a proposito dello Spirito Santo, si esprimeva così: “O vin discorût dal Spiritu Sant, ma ce robe esal - al domandarà plui di un-. Poben mi tocje rispuindi cun umiltât e cun scletece che al è un misteri par me e par ducj. La dutrine lu clame la tierce persone de Santissime Trinitât, atri misteri, e a dîs che al è l’Amôr che al compagne il Pari, il Fî, atri misteri ancjemò (Vanz. B.87) . Ognuna di queste sue considerazioni era espressa con modestia, con l’umità di chi sa che la mente umana non può arrivare a “comprendere” l’infinito. “Crodi nolè facil. E se si ûl rivâ a Diu cu la scjale dal resonament, si crevin i pecoi e si cole abas” (Vanz.B,p.90)
L’ “inumanament” di Dio sicuramente è il mistero che più attira e coinvolge pre Toni. Proprio sulla incarnazione di Dio, si fonda la sua fede e la sua speranza. Da qui parte anche la sua critica e trova fondamento, l’insistenza, quasi luterana, della sua polemica clericale.

Il misteri de incjarnazion nus dîs che Crist si è fat om e al à cjapât su di sé perfezionantlu, dut ce ch’al è di uman. Poben la glesie catoliche, soredut de ete de clericalizazion in ca (dibot di simpri) e presente come modei al popul cristian, parcè che tâi a son i sants, chei che in te lôr vite si son incjarnâts di mancul o adiriture disincjarnâts. No che no vedin lavorât a pro de umanitât o che si sedin ducj straneâts in tune solitudine mistiche, ma la lôr vite e je stade il contrari de incjarnazion, pal fat che àn rinunciât a un doprâ e gjoldi coret e sant e salutâr de cjarnalitât e sessualitât. (De Profundis p 131)


UOMO DI CHIESA
Questa espressione credo non abbia connotazioni positive. Un “uomo di chiesa” è un “baciapile” un “patafebancs”un fariseo che crede di essere ciò che non è. La più feroce critica che si può fare ad uno che frequenta la chiesa è quella di dirgli che nonostante il suo andare in chiesa, è peggio degli altri, cioè quelli che non frequentano. Da tale atteggiamento si è riusciti a formare la squadra, peraltro numerosa degli “atei devoti”, che senza religione o fede, pur continuando a vivere come se Dio non ci fosse, non osano negare apertamente l’esistenza di un “supremo” e da questa sensazione traggono sostentamento per delle regole etiche non sempre fondate.
In effetti è facile criticare non solo chi va in chiesa, ma anche chi, papa, vescovo, prete, la rappresenta . Pre Toni ha criticato molto, lucidamente, sarcasticamente, la “baracca” in cui si trovava. Tuttavia, le sue critiche, tanto precise quanto spietate, non l’hanno mai spinto ad abbandonarla. La sua sopportazione è stata eroica, incomprensibile, quasi irrazionale, anzi cristiana. Critica la chiesa che invece di testimoniare, diffondere, onorare il Vangelo se ne serve e lo usa... Eppure pre Toni non la lascia, non se ne va. Solo nella chiesa gli sembra possibile poter continuare a diffondere quella che una volta era considerata la “buona novella”.
Oggetto della sua critica, mi sento di doverlo sottolineare, non è la chiesa, quella che annuncia ai poveri la buona novella, ma il resto, la struttura, il potere che si autoalimenta, insomma il peggio della “baracca”, (il cardinate Poupard che si è prestato a celebrare le nozze miliardarie di un cinquattottene con una ventottenne! Per fare un es.). La chiesa di potere lo indigna, lo infastidisce. Si chiarisce bene la sua idea in questo brano che ci legge Cristina.
Io rimango dentro non per il vescovo. Non mi ha fatto niente, ma non merita la mia vita che è una cosa importante!
Io sto dentro perché c’è tanta gente che aspetta da me una parola e che allunga la mano per poter fare strada assieme, condividendo bene e male, gioie e rogne.
Sono dentro nella chiesa perché c’era mia nonna, c’era mia madre, che ha fatto del bene sempre, ed è vissuta come una martire tutta la vita, c’era mio padre, c’è tanta gente oggi, ci sono giovani, ci sono bravi uomini, che magari non vanno a messa ma portano la croce con grande dignità e disponibilità ed hanno un cuore buonissimo.
Io parteggio per questa gente qui e rimango fedele proprio per persone come queste!
Non è facile sintetizzare quello che la chiesa è. Si tratta, come dicevo, di una istituzione che accomuna differenti livelli di aderenti. Si va dalla semplice donna che vive di devozione e di rosari, ai papaveri della gerarchia strutturata dal minimo livello al picco più elevato: sono nella chiesa e tutti fanno chiesa, sebbene con compiti e funzioni diverse.
Vi si trova, lì dentro, una minoranza di quelli che comandano, senza mai dover obbedire, ed una stragrande maggioranza che deve obbedire, senza mai comandare.
In questo organismo, dove tutte le parti dovrebbero avere la stessa dignità, la testa pensa e decide per conto suo, indipendentemente dal corpo, ridotto ad esecutore passivo.
Il popolo di Dio è sparito, sono spariti da questo organismo pure quanti ogni giorno debbono affrontare le contraddizioni del vivere odierno. E’ rimasta, è vero, una congrega di gente che in un certo senso vive fuori dal mondo ed è legata ad una cultura venerabile, ma morta, a libri e documenti che anziché esaltarla la mortificano.
Io sto nella chiesa perché la chiesa è la barca che prende dentro tutta l’umanità. E’ l’arca di Noe, solo che l’arca di Noé era per quattro eletti e la chiesa deve essere per tutti! Quindi non una chiesa élitaria, ma una chiesa comunitaria, dove c’è posto per tutti.
Quando sento dire: “I gay no! Quelli che vivono insieme senza essere sposati, no! Quelli sposati civilmente no!, mi chiedo: ma di che chiesa parliamo?”.
Ma lui non è andato a cercare la pecorella smarrita senza paura che questa, riportata all’ovile , avrebbe potuto essere di cattivo esempio a quelle rimaste nella stalla? Non dovrebbe essere proprio la chiesa attraverso i suoi importanti esponenti, a dare una speranza, una mano, un rifugio a quelli che sono più esposti al freddo ed alla instabilità dei sentimenti? Dio ci ha regalato la chiesa come casa del perdono e della misericordia e non come tempio del diritto.
Dov’è il perdono, dov’è la grazia, dov’è la misericordia?.
Se non troviamo posto in chiesa per queste persone, dove dobbiamo andare a cercarlo, nelle caserme dismesse? Se anche la mia chiesa mi caccia come un lebbroso, dove posso andare? Se anche mio padre e mia madre mi mandano via, dove trovo rifugio, serenità, salvezza?
Quindi la chiesa dovrebbe chiedere, prima di tutto, non se sei sposato in chiesa o no, non se sei gay o no, ma: “Cosa posso fare, come posso aiutarti? Avvicinati, entra, bevi un sorso d’acqua, siediti qui. Vediamo se posso esserti di aiuto e, se non posso alleviare le tue pene, cercherò di condividere la tua sofferenza, anche se non concordo con le tue idee e scelte”. (la tafica di esser prete p.144-145)

Nelle sue polemiche ed ironiche osservazioni è anche autocritico:
Fintramai che o sin in cheste vite, nô predis, ma ancje i vescui e il pape, no sin de bande dai juscj ma dai pecjadôrs, no sin tra i beâts ma tra i biâts. (…et incarnatus est p. 192)
La chiesa resta il suo rifugio e spesso ripete, come fosse uno slogan di marketing che “in chiesa non si va per perdere, ma per guadagnare”.

UN UOMO
Un uomo con i dubbi esistenziali di tutti, con passioni e problemi che in questa pagina di intensa confessione così si si riassume:
Ho avuto la grazia di vivere tutte le stagioni della vita, senza saltarne alcuna o desiderare di cambiarne l’ordine. Avendo così goduto la giovinezza, non mi pesa per nulla la vecchiaia, sebbene sia carica di dolori e di croci: sono il colore dei suoi fiori!
Ho avuto amici e pseudo amici. I primi li ho cercati e mi hanno consolato; i secondi sono arrivati senza che li cercassi e li ho sopportati.
Attraverso la mia porta ed attraverso la porta della vita ho visto transitare tante persone che mi hanno spezzato il cuore.
Incline per natura a vivere da solo, ho cercato sempre di vivere in pace, prima che con il mondo, con me stesso. Ciò mi ha permesso di godere anche nella compagnia.
Non le ho indovinate tutte, così come non le ho sbagliate tutte. Ho avuto la fortuna di imparare anche dagli sbagli e dalle esperienze negative.
Molte volte mi son trovato senza soldi e salute, ma Dio mi ha ricompensato con la speranza. Un regalo per i poveri che è negato ai ricchi.
C’è stato un tempo della mia vita in cui avevo il terrore della morte. Mi è capitato quando ero ancora giovane ed avevo più parenti ed amici di qua che di là. Ora il pensiero della morte mi fa meno paura. Quando si è giovani non si ha nemmeno la voglia di riposare; ora invece godo i momenti di riposo e credo di comprendere meglio il significato di un riposo eterno.
Nella mia vita non ho mai fatto progetti. Per questo ho affrontato sentieri che mai avrei pensato di percorrere ed ho raggiunto mete che mai avrei sospettato di poter raggiungere. Certamente non mi metto a fare progetti ora!
Ascolto spesso tante persone che si chiedono se il nascere sia una fortuna oppure una disgrazia. Se porsi domande è giusto, non è giusto vivere facendosi domande in continuazione.
La vita sarà sempre un mistero: fortuna e condanna contemporaneamente. Quando nasceva uno dei miei cagnolini la prima cosa che mi chiedevo : “Chissà se oggi ha guadagnato o ha perso?” . Era troppo impegnato a guardare i colori e il muso di sua madre per seguirmi in queste domande insensate.
Come sono arrivato qui senza conoscere né la strada, né il tempo, né altro, arriverò pure di là. Perché non siamo noi a guidare, ma è un’altra mano che ci conduce. Alla fine non siamo noi a scegliere, anche se ciò ci sembra verosimile. Che cosa devo fare? Fidarmi di Lui e vivere in pace, sapendo che ogni giornata, anche se dovesse essere l’ultima, è sempre un miracolo.
Ho avuto anche fede, ma non troppa! Mi è piaciuto essere curioso delle cose del mondo, ma sulle cose di Dio ho preferito il mistero ed il rispetto. ( la fatica di esser prete p.57)
Ancora una piccola citazione sulla cultura:
La salût e je alc di plui larc e profont dal jessi a puest cul colesterolo e cui trigliceridis. Ancje il purcit, biât, al sclope di salût. Par chel o dîs che dongje des trasfusions dal sanc a coventin altris trasfusions. Par esempi trasfusions di culture. Un popul che nol rive a meti, in tal cjaruç incolm de spese, ancje un libri o che nol à timp di cognossi, stimâ, tramandâ la so culture, storie, lenghe, esperienze, nol è san o al è san dome cul cuarp e duncje in pericul di jessi doprât come un mus, che si lu preferis san. Un popul che nol dopre il so cjâf, al ven doprât. (Olmis II p. 14) Ñ
Di certo pre Toni non avrebbe immaginato che un suo libro sarebbe finito negli scaffali del supermercato dove più di qualcuno lo avrà messo nel carrello della spesa! Ho scoperto un uomo che si interroga, dubita, vive. Un uomo che si faceva domande più sulle ascisse, in orizzontale che sulla verticale, troppo a rischio di scosse… Un uomo che ci invita a vivere qui, oggi, tutte le nostre possibilità e responsabilità.
Nel suo messaggio ci sono principi di vita , insegnamenti, indicazioni per essere ed esistere con dignità e obiettivi.
Uomo di fede, uomo di chiesa, uomo di compagnia….. un uomo che sapeva leggere il tuo intimo senza che tu parlassi e ti era subito amico sincero, schietto, vero.
Vissuto nel nostro spazio, nel nostro tempo e “nella consapevolezza di Dio”-

BUTTRIO GIUGNO 2008

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