sabato 10 novembre 2007

LAFATICA DI ESSER PRETE: ce fadie!

Pre Toni Beline è morto repentinamente all'albeggiare del 23 aprile 2007, concludendo anzitempo la sua lunga Via Crucis terrena, le cui stazioni più tragiche sono state il grave infarto intestinale del 1978 (trattato nell'Ospedale di Tolmezzo e dal quale faticò non poco a riprenderesi) e la successiva insufficienza renale progressiva (che lo costrinse poi alla emodialisi trisettimanale con tutte le complicanze e le sequele di tale stato). Anche altri malanni fisici minori (minori?) si accumularono ostinatamente su quel corpo divenuto via via sempre più macilento e ossuto, fino alla tragica e improvvia morte di quel lunedì di aprile.
Pre Toni ha scritto decine di libri (47 per la precisione), ha collaborato a varie testate giornalistiche (Vita Cattolica, La Patrie dal Friûl, Friuli d'Oggi...), ha affrontato varie tematiche (religione, società, scuola, formazione umana, politica, identità friulana...). Ha tradotto in friulano la Bibbia: già questo fatto lo rende grande e unico nella storia del Friuli!Ha coordinato e lavorato tantissimo alla stesura del Nuovo Messale in friulano che attende ancora l'imprimatur della CEI. Molti amici ed estimatori avevano variamente sollecitato la LAUREA HONORIS CAUSA per questo grande scrittore, ignorato dalle èlite ecclesiastiche e accademiche, dalle grandi case editrici, dai giornali locali, dall'establishement culturale: ora è tardi e la laurea potranno dargliela solo IN MEMORIAM. Davvero una vergogna, una scandalosa vergogna! Ora molti si affretteranno ad esaltarlo, a riempirsi la bocca di lui... Biât pre Toni, tanche il purcit (absit jniuria verbis): bon nome dopo muart!TUTTA la sua vastissima produzione letteraria è stata scritta in MARILENGHE (in friulano), tutte le sue interviste sono state rilasciate in friulano, tutto il suo parlare e il suo pensare è sempre stato in friulano, un friulano agile, scopiettante, fluente, ironico, aderente al concetto espresso; mai avrebbe accettato di parlare o di scrivere non in friulano, mai avrebbe accettato di tenere una predica non in friulano...Questa lunga premessa era necessaria per presentare questo splendido libro-intervista, finito di stampare esattamente 4 giorni dopo la sua morte! Un libro che si caratterizza principalmente per due aspetti importantissimi:
1. E' il primo e unico libro che pre Toni, fortemente sollecitato da Marino Plazzotta, ha accettato di presentare in ITALIANO. L'intervistatore infatti è riuscito laddove altri non erano mai riusciti: stanare pre Toni dal suo ridotto friulanista e convincerlo ad uscire nel ben più vasto territorio della lingua italiana. E l' italiano di pre Beline è perfetto, fluido, sincero, diretto, privo di figure retoriche fumose atte a velare concetti e verità. La stessa icasticità del suo scrivere in friulano la ritroviamo esattamente nella scrittura italiana. Chi non ha mai letto i vari libri di pre Toni Beline, perchè non sa o fatica a leggere la lingua friulana, ora ha un'opportunità unica per conoscere quest'autore, di alto profilo letterario ed umano.
2. Questo è l'ultimo libro (seppure in forma di intervista) di pre Toni. E' il suo TESTAMENTO SPIRITUALE perchè raccoglie il suo pensiero elaborato in tantissimi anni di vita di prete, di cittadino, di insegnante, di uomo. E' la sua SUMMA HUMANA ET THEOLOGICA perchè sintetizza in un unico libro tutto il pre-toni-pensiero, che non può e non deve necessariamente essere totalmente condiviso ma che comunque resta assolutamente originale non solo nei suoi aspetti eminentemente teologici ma anche e soprattutto in quelli umani e sociologici.Il libro, per i vari CONTENUTI che accoglie, è suddiviso in varie parti- l'intervista inizia con spunti autobiografici (e sono davvero emblematici per comprendere il successivo percorso di formazione psicologica di pre Toni) che sembrano davvero appartenere ad un altro mondo. Fanno spicco la povertà materiale della famiglia, il lavoro duro, la figura del padre (negativa in apparenza ma capace di stabilire poi profonde convinzioni nel figlio che diventerà prete) e quella materna (silenziosa ma pervasiva); i fratelli; il parroco...- l'esperienza del seminario, riprendendo sinteticamente i temi de "La fabriche dai predis", occupa gran parte dell'intervista e costituisce un significativo spunto per una riflessione collettiva sulla educazione clericale che, fissata nel concilio di Trento, si è cristallizzata poi nei secoli successivi fino agli anni Sessanta del secolo scorso.- la perdurante querelle con la istituzione-struttura ecclesiastica riaffiora prepotentemente con nuovi spunti ma prevale sempre l'amore o meglio l'innamoramento per questa "mater ecclesia casta et meretrix" dalla quale pre Toni non si è mai allontanato nè mai ha inteso farlo, pur avendone egli dovuto sopportare le ingiunzioni e le regole, i dictat e l'obbedienza. Forse anche per questo pre Toni, con tutti i suoi limiti umani, resterà una figura di prima grandezza non solo nella letteratura friulana ma anche all'interno della chiesa udinese, che forse ora si accorgerà finalmente di aver avuto un figlio eccezionale di cui non ha saputo cogliere e valorizzarne le doti e le grandi capacità umane e pastorali.- la parte propriamente teologica assume connotati del tutto sorprendenti perchè in essa pre Toni osa cimentarsi con disarmante semplicità e assoluta sincerità con i due maggiori misteri della Chiesa cattolica, riprendendo così la tematica del suo precedente "Et incarnatus est". Una parte forse a tratti difficile per i non addetti, ma certamente resa comprensibile per una vasta platea di lettori.- anche il tema relativo alla malattia e alla morte viene qui ripreso dal suo precedente libro "De profundis" e pre Toni risponde alle domande cruciali del consapevole intervistatore con il senso di sofferenza di chi ha provato sulla propria pelle il peso e il tormento della malalttia; vi traspare quasi un accenno profetico... Nessuno, durante la stesura di questo libro, pensò mai che la fine di pre Toni sarebbe stata imminente. Nessuno osò mai neppure immaginare che questo sarebbe stato l'ultimo suo libro. Forse però lui stesso, accettando per la prima volta la lingua italiana, potrebbe aver avuto la tragica percezione di aver ancora poco tempo da vivere: chissà, forse per questo accettò ciò che mai in vita sua aveva mai accettato...- gli aforismi finali di pre Toni (raccolti senza un ordine prestabilito) rappresentano degli autentici flash sapienziali, delle vere giaculatorie laiche, intrise nella amara e quotidiana esperienza del vivere il suo stato di prete e di uomo, di friulano e di cittadino del mondo.Senza la felice intuizione dell'Editrice "Biblioteca dell'Immagine" di Pordenone, che, dopo il passaggio televisivo su Telefriuli di una intervista rilasciata da pre Toni a Marino Plazzotta, focalizzò subito la forte ed originale personalità di questo autore, oggi noi non potremmo disporre di questo piccolo grande gioiello dal costo contenuto (euro 12).Credo inoltre che occorra ringraziare molto Marino Plazzotta che, pur angustiato dai suoi problemi, è riuscito dapprima a stabilire un feeling con pre Toni e poi a perseverare in questo grande e paziente lavoro di assemblaggio e di ricerca, che ha alla fine fruttato questa importantissima testimonianza scritta del più grande prosatore friulano del II Novecento e tra i più grandi e prolifici in assoluto della intera letteratura friulana.
IPOGRAFE DEL RECENSORE
Ho conosciuto pre Toni nell'ormai lontano 1962, quando (io undicenne, lui ventunenne studente del II corso di teologia) lo ebbi come "assistente" durante tutto l'anno di prima media a Castellerio ed il mese estivo a Bagni di Lusnizza: conservo gelosamente ogni frammento di quei ricordi che sono rimasti indelebili nella memoria e che pre Toni ha splendidamente riportato in talune parti de "La fabriche dai predis": le alzate mattutine nel freddo camerone capace di ospitare anche 35 ragazzini, i pasti miserandi in un vasto refettorio, la scuola puntuale e rigorosa, le ricreazioni attese e sempre troppo brevi, le splendide passeggiate sui colli di Pagnacco, i professori variamente dotati, le mele di casa nascoste sotto il letto, il colbacco e la mantellina invernali, le enuresi notturne a causa di assurdi divieti... Ricordo l'ala benevolmente protettrice di pre Toni nei miei confronti (forse gli sembravo piccolo e indifeso), ricordo la sua meraviglia all'ascolto di talune mie parole carniche a lui sconosciute (glon, parie, sior Santul...) che lo eccitarono; ricordo la sua grande intelligenza sempre disponibile verso i suoi compagni di corso che ricorrevano a lui per chiarimenti nelle materie più ostiche, ricordo come sia stato l'unico teologo del suo corso a sostenere gli esami totalmente in lingua latina, ricordo il suo impegno di bibliotecario e nel contempo di "badante" di un vecchio professore paralitico che se ne stava tutto il giorno in carrozzella. Ricordo il suo modo di suonare l'armonium con finto stupore...Lo reincontrai più tardi e con sommo stupore, nei primissimi anni '70, quando, all'insaputa l'uno dell'altro, aderimmo entrambi al Movimento Friuli: pre Toni girava con la sua scalcagnata "Fiat 500" a distribuire manifestini nella mia valle fino nei paesini più sperduti, faceva comizi sulle piazzette con una fonica malfunzionante rivolgendosi maggiormente alle donne ed ai giovani... Rinsaldammo ulteriormente l'amicizia, divenuta ormai adulta, nella corsia dell'ospedale carnico di Tolmezzo, quando entrai con lui in sala operatoria per un intervento che il prof. Bergnach eseguì con grande preoccupazione; scoprii in quell'occasione per la prima volta, in quel tragico 1978, la sua vena di scrittore (aveva appena tradotto in friulano le favole di Fedro e di Esopo; mi regalò allora il suo Pinocchio friulano ancora intonso) e di polemista incalzante...Fino al 1982 ebbi contatti frequenti con lui; ci si vedeva a Rivalpo, a volte a Trelli alla messa della domenica; sempre alla "Scense" su a S. Pietro: era diventato canonico della pieve-cattedrale della Carnia ed era fiero di questo titolo onorifico che lo esaltava (sua madre era di Avaglio di Lauco)... Poi quando fu trasferito a Basagliapenta in "Furlanie" non ebbi più contatti diretti frequenti con lui (tranne qualche telefonata serale), tuttavia tramite la sorella Elena o la nipote Monica gli facevo sempre avere i miei saluti e mi informavo sulla sua salute.Quando sua madre fu ricoverata a Tolmezzo, ci si rivide; quando furono ricoverati alcuni suoi amici preti di Glesie Furlane, ci si rivide. Sempre volentieri, sempre emozionati, sempre con il gusto di rinnovellare gli antichi ricordi... Gran parte dei suoi libri che conservo in un angolo importante della mia biblioteca, hanno una dedica personale che rileggo sempre volentieri con commozione...Due sole volte andai a trovarlo a Basagliapenta: ricordo la sua casa di "vedran" in amabile disordine dominato dalla costante puzza dei suoi gatti e del suo cane, ricordo un particolare strano: i segnalibri che lui usava spesso erano appesi al lampadario della cucina; la soffitta accoglieva alcune statue lignee di santi e un leggio oltre ad altre cose...Quando cominciò ad ammalarsi ai reni, seppi che volle provare anche la cura "Di Bella" che allora furoreggiava, ma non lo dissuasi...Quando avviammo questa avventura telematica con Cjargne Online, nel 2000 lanciammo da qui la proposta di restaurazione della Diocesi di Zuglio: lui accolse favorevolmente l'iniziativa e collaborò attivamente mediante interventi in friulano che sono tuttora ospitati in questa particolare sezione del nostro sito.L'ultima volta che lo vidi, fu a Treppo Carnico, la scorsa estate, quando salì fin quassù per una lunga intervista concessa al comune amico Marino Plazzotta per la emittente locale Telefriuli-VTC. Mi parve già allora sofferente e indebolito nel corpo, piegato dalla dialisi e dalle sue ferree regole dietetiche; lo spirito però era sempre inalterato, sempre quello del pre Toni degli anni ruggenti: tagliente, caustico, sicuro, deciso, a tratti irriverente, ma sempre drammaticamente sincero e schietto...Come solo pochissime persone conosciute, pre Toni mi mancherà; molti (me compreso) ne hanno già nostalgia...

LA FABRICHE DAI PREDIS

Nella società in cui viviamo dobbiamo abituarci a tutto, dalla mucca pazza, all’uranio impoverito, al plutonio, alle pasticche di extasy, al commercio di ogni cosa , dai bimbi agli organi umani. Insomma ci dobbiamo abituare a vederne o sentirne di tutti i colori! Ma mai mi sarei aspettato, nel 2000, di constatare la sparizione dalle librerie di un un libro che aveva appena “visto la luce”, ancora intonso.
Mi riferisco al “ LA FABRICHE DAI PREDIS” scritto da Don Antonio Bellina e che improvvisamente per decisione di non so qual fantomatico “ Sant’Uffizio” è stato tolto dalla circolazione.
Senza grande scalpore o proteste si è ripetuta l’operazione che Ray Bradbury descrive in “Fahrenheit 451” , dove il corpo dei pompieri è impiegato a distruggere tutti i libri considerati fuori legge.
Anche a Udine, a distanza di secoli, si è ripresentato un severo Torquemada che , non si sa bene con quale diritto, né con quali poteri è riuscito , “senza il rumore della litigiosità” , ad eliminare un libro che non potrà nemmeno essere segnalato nell’ “Index Librorum Prohibitorum” di triste memoria.
Il libro di don Antonio Bellina è letteralmente scomparso.
Della sparizione mi sono accorto per caso, quando, dopo aver acquistato regolarmente la copia che ho sotto gli occhi, mi sono recato in libreria per acquistarne una da regalare ad un amico. “Il libro non si trova più in commercio” , mi ha risposto il libraio.
Ho fatto qualche indagine ed ho scoperto che per decisione di un Sinedrio diocesano il libro non poteva essere più di pubblica consultazione e non solo veniva messo all’indice, ormai soppresso, ma fatto sparire per il bene di tutti. La mia prima reazione è stata di incredulità: non mi sembrava possibile che nell’anno giubilare, con un papa che chiede perdono a tutti, perfino della santa Inquisizione, si arrivasse in una provincia, nemmeno tanto religiosa, ad eliminare un bellissimo libro autobiografico!
E’ successo.
E sono qui a raccontarvi quello che ho scoperto in questa sofferta storia che mi ha fatto apprezzare ancora di più il mio Sciorsantul, che nonostante tutto, è riuscito a salvarsi con dignità e umanità, da una scuola che si prefiggeva di sfornare preti tutti uguali, tutti fieri, tutti pieni di sé e potenti. Il mio Sciorsantul si è salvato, perché dentro di sé ha trovato dei valori che nessun docente è riuscito ad eliminare. Ha ritrovata un’anima in cui vivevano suo padre e sua madre, e tutti gli avi che se ne sono andati non senza lasciare una forte , determinante impronta. Senza questo passato anche il mio Sciorsantul sarebbe diventato un prodotto confezionato e impacchettato dalla “fabriche” e comandato e dislocato a piacere sulla scacchiera della diocesi.
Don Antonio Bellina è un prete scomodo, perché dice il vero e lo sa scrivere bene. E scrive tanto.
Ha portato a termine la traduzione della Bibbia in Friulano, iniziata con un altro prete scomodo, Don Placereani.
Come Isaac Singer, premio nobel per la letteratura, che ha scritto sempre e solo in yiddish, idioma delle comunità ebraiche orientali, Don Bellina ha scritto e scrive rigorosamente solo in friulano. Questo è il bello e il brutto di una mente e di un uomo eccezionale per i sentimenti, le emozioni, le convinzioni, che riesce a comunicare: il friulano come limite , non come prerogativa, come strumento comunicativo!
E’ un prete non etichettabile, genericamente o facilmente, nella classe clericale , ma è comunque un uomo in pace con se stesso.
E’ stato ed è una voce fuori dal coro , già da quando vent’anni fa scriveva : “La veretât e jè che che il gleseam al copie dutis lis pecjis dal stât…E come il stât al bandone i paîs plui picui e al siere scuelis e nol dà un avignî e nissune comuditât di sorte…cussi la glesie. Là che no coventin predis and’è di vendi, la che a coventin no s’incjate”, ma il modo con cui è stato trattato questo ultimo suo libro, la dice lunga su come la chiesa testimoni ed interpreti la tolleranza. (Probabilmente la chiesa quando dice “mea culpa”, intende tutt’altro!).
Non ha risparmiato critiche ai suoi educatori, ai preti, alla chiesa, ma uno che critica non vuol forse bene all’oggetto che critica? Se uno critica la chiesa mica vuol dire che la odia? Don Bellina è ancora dentro alla chiesa, ne fa parte in maniera coinvolgente. E’ parroco di una comunità minuscola, ma importante e se si mette a criticare il suo datore di lavoro lo fa , a mio avviso, perché gli vuole bene! Quindi da dove questa insolita censura?
Le sue critiche propositive, schiette, incisive, sono state ignorate, boicottate, combattute, come provenienti da un pulpito screditato e soprattutto senza potere.
In questo libro, scomparso, racconta, senza dimenticare alcun particolare, che cosa si mangiava in seminario, tutti i giovedì di ogni anno, anzi di tutti i tredici anni ( gli anni trascorsi in fabbrica), come predicava don Lovo, ossessionato da san Luigi e la sua castità inconfutabile, descrive la spirituale saggezza di monsignor Peressutti, la perfida intelligenza del prof. Negus che infieriva sui deboli e tanti altri momenti di vita vissuta a quei tempi da innumerevoli giovani. Pensate che in quegli anni, dal 1950al 1960, i giovani andavano in seminario a frotte: c’erano ben tre sezioni nelle medie con più di cento alunni!
Don Bellina descrive con minuziosa precisione particolari che hanno coinvolto, come me, numerosi giovani che riuscivano, pur con qualche sacrificio, a studiare in un luogo protetto e senza molta spesa.
Nel raccontare assieme alla sua, la storia di tanti giovani passati nella “fabriche dai predis” don Bellina è spietato, perfino micidiale.
Non perdona nulla e si ricorda con puntigliosa memoria tutte le umiliazioni che quella congrega gli ha fatto ingoiare. Quello che ha rimuginato dentro in “ chei agns dal nestri calvari…in chel lûc di pocjs sodisfazions” è raccontato in un friulano semplice e comprensibile in un libro che non potrete più acquistare, tolto alla vostra conoscenza ed al vostro giudizio.
E’ vero o falso quello che don Bellina ci racconta?
Il “ seminari erial propit” una prigione? Anche se non ti tenevano legato?…
L’educazione ivi impartita da lunatici professori spesso disadattati, contribuiva a formare o a deformare pur che si entrasse “tal stamp clericâl?
Pure io sono passato in quella fabbrica, cui serbo nonostante tutto, un sentimento di gratitudine, perché mi ha dato cultura e sicurezza. Non capisco perché criticare una “scuola” debba meritare l’ostracismo? Perché non hanno scritto una testimonianza a controprova? Che so? “Il Seminario aiuola di santi?” o “Il Seminario esempio educativo”.
I ricordi possono fare male.
Pre Belline ha sicuramente fatto male, con il suo libro , a quei preti che tuttora non accettano di essere venuti fuori da una “fabbrica”, conformati secondo uno stampo unico. Accettare il proprio passato è difficile soprattutto per quelli che oggi sono diventati monsignori, arcidiaconi, vicari o vescovi, ma che cosa è importante ? Essere o apparire?
Quello che non mi sembra assolutamente cambiato è che se è vero che i preti sono diminuiti, non sono proprio cambiati certi metodi arbitrari e crudeli, inquisitori, attribuibili a chi ha deciso di togliere, con insindacabile giudizio, un libro che più che peggiorare ci avrebbe fatto riflettere.
Ma forse, loro, non vogliono farci riflettere. Così come non sono riusciti a riflettere ed a pensare che la chiesa avrebbe dovuto anticipare i tempi non a farsi superare da questi. Fra qualche decennio la chiesa assumerà forme nuove di testimonianza, ma a pagare saranno i pre Belline che, umilmente, dicendo la loro idea , incasseranno più di qualche sberla.
Come ultima conclusione mi viene da dire che se “la fabriche” è fallita i capi continuano , sotto antiche spoglie, a comandare. Anche il comunismo, crollato il muro di Berlino, avrebbe dovuto sparire, invece ce lo ritroviamo ad ogni occasione.
Per non uscire dal tema concludo meravigliandomi che gli intellettuali friulani abbiano speso ben poco , quasi nulla, qualche fievole voce, per protestare contro l’imposizione, ridicola e beffarda, che qualcuno si è arrogato di prendere quel libro e buttarlo nel cesso.
Non esito a definire “vergognoso, anacronistico, offensivo” quanto è successo a questo libro, quasi fossimo in regime cambogiano!
MARINO PLAZZOTTA

P:S: Di seguito una traduzione, non autorizzata dall’autore, delle prime pagine di questo libro che conserverò con cura.
Se volete sapere di più cliccate qui gosper1@tin.it

La fabriche dai predisdi ANTONI BELINE
INTRODUZIONE
Anche se i cambiamenti radicali e generazionali stanno sconvolgendo sempre di più la nostra fisionomia culturale e religiosa, resta ancora vera l’affermazione di Benedetto Croce che “non possiamo non chiamarci cristiani”. Addirittura nel senso di cristiano-cattolico, che è una delle forme di essere cristiani. Perché la religione ci ha segnati tanto in profondità che si potrebbe parlare di una sorta di somatizzazione, di una modificazione organica.
Se questo vale per gli italiani, vale con più ragione per noi friulani, che siamo nati come popolo nel grembo di Aquileia e cresciuti attorno alla chiesa e all’ombra del campanile. Infatti uno dei difetti che tutti ci riconoscono, magari a torto, è quello di essere “campanilisti” e legati ognuno alla sua “parrocchia”. Che si può tradurre in selvatici, individualisti e asociali.
L’influenza del nostro background culturale-religioso cattolico è tanto in positivo che in negativo. Nel senso che, se anche andiamo sempre più raramente in chiesa o non andiamo proprio e siamo diventati neutri o contrari, ci sono rimaste le virtù e i difetti tipici di una società di stampo cattolico.
Per conoscere meglio la tipologia del friulano, base e premessa di ogni discorso sensato, sarà pertanto opportuno andare a vedere che sorta di religione ci ha formati e deformati. A differenza dei protestanti, che danno grande importanza alla coscienza e soprattutto alla Scrittura, senza mediazioni e intermediazioni di sorte, la nostra religione o religiosità è stata centrata sulla mediazione, quasi esclusiva, della gerarchia, in particolare del prete, che l’abbiamo sempre visto e considerato come il referente principale e obbligatorio nel nostro rapporto con la divinità. Non è un caso che il clericalismo e l’anticlericalismo siano ortiche che crescono solo nell’orto dei cattolici. Perché per noi la figura del prete, del parroco è stata determinante e discriminante, al punto che tanta gente va in chiesa e crede in Dio grazie a un prete santo e tanta gente non va in chiesa e non crede in niente per colpa di un prete testardo ed imbecille.
Arrivato ad una età in cui si può fare un minimo di bilancio e di riflessione e, trovandomi per combinazione nell’ambito clericale, mi è sembrato giusto studiare la figura, lo stampo, il modello del prete, per capire e spiegarmi la figura, lo stampo, il modello dei nostri cristiani. Perché i preti hanno avuto grandi meriti nella nostra storia personale e sociale, come hanno avuto grandi colpe. Arriverei a dire che non si può scrivere la storia del Friuli senza scrivere un grande capitolo sulla chiesa e sui preti. Sono stato contento di leggere che uno studioso di religioni americano, Antony D. Smith, ha trovato che in tutte le minoranze etniche e linguistiche il prete e la religione hanno una funzione insostituibile. Scappato il politico, sparito lo studiato, resta il prete, a prendersi debiti e crediti, a fare da papa e da re. Conoscere dunque i preti può diventare una chiave importante per aprire tante porte chiuse e per fare luce su tanti angoli oscuri.
Ma come conoscere i preti? Leggendo i documenti del Vaticano e della curia? Leggendo le vite dei santi, quasi tutti preti, frati e suore? Leggendo la tanta letteratura che in ogni secolo e in ogni parte del mondo è stata dedicata a loro? Andando ad interpellare la gente? Andando ad interpellare i diretti interessati? Tutte strade buone e percorribili, che possono dare qualche risultato illuminante.
Io ho preferito andare a studiare il posto, là, da dove vengono e, meglio, venivano fuori i preti, quando era grande abbondanza e si poteva permettersi anche di fare “gli americani”, i grandi e diradare senza stare troppo a trattare. Il posto si chiama “seminario”. E’ stato inventato e codificato nel 1500, e precisamente in quel Concilio Tridentino (1545-1563) organizzato per combattere i protestanti, che è durato e dura, nella sostanza, fino al giorno d’oggi. La parola viene chiaramente da “semente “, una sorte di vivaio per piantine che dovevano essere guardate dai venti del secolo e riscaldate con il calore della santità.
In quei tempi di miseria materiale, i seminari godevano di grande abbondanza numerica, al punto che la nostra gente, per dire che “ce n’era ‘una strage”, diceva ‘un seminario’. Cosa che sicuramente oggi stonerebbe. Però l’aspetto più caratteristico di questo posto di formazione clericale, che la retorica del tempo chiamava anche “santuario”, non era il numero degli eletti ma lo stampo di educazione. Uno stampo soprattutto negativo, immobile, ossessionato a far sparire l’uomo vero, l’uomo che diventa prete, per sostituirlo con l’uomo nuovo, il prete che non è più uomo.
Questa struttura è durata quattro secoli e ha mandato fuori centinaia, migliaia di preti, una stirpe per conto suo, tutta compatta, tutta uguale, tutta differente e alternativa alla gente normale. Che se in tempi di clericalizzazione e di sacralizzazione generalizzate poteva essere comprensibile e addirittura accettabile, oggi è tremendamente, scandalosamente stonata, incomprensibile e soprattutto inaccettabile.
Queste pagine sono una visita in quel luogo e in quell’ambiente, fatta da uno che ha passato li dentro tredici anni e dunque può vantare qualche titolo. Le ho scritte per fare luce sull’anormalità del prete, per trovare una qualche ragione alla sua stravaganza rispetto alla gente normale. Per capire quello che gli hanno fatto per ridurlo così e dunque per trovare una qualche attenuante e, se è possibile, un po’ di comprensione, come si ha per tutte le vittime. Non è un lavoro contro i preti ma, contro la struttura che li ha ridotti così.
Ho scritto anche per dare una testimonianza alternativa a quella oleografica fornita dal mondo clericale, che sicuramente loda e dà risalto al suo prodotto nascondendo colpe e limiti. Queste testimonianze, apparentemente inutili, hanno il vantaggio di offrire una lettura diversa, contraria, inedita. Di modo che, un domani, se Dio vorrà, si potrà sentire un’altra campana, meno edificante e celebrativa ma non per quello meno vera. Una testimonianza personale, ma provata sulla mia pelle e dunque genuina.
Volevo mettere come titolo “memorie dall’oltretomba”. Poi mi era venuta la voglia di mettere “memorie di un sopravvissuto”, ma non arrivavo a trovare la parola giusta in friulano. Alla fine ho preferito un titolo più generico ma forse più incisivo e comprensibile: La fabriche dai predis - La fabbrica dei preti.
Una fabbrica che non ha saputo o potuto o voluto camminare con i tempi. Si è ostinata, prendendo come un punto di onore, a mandar fuori sempre quel prodotto, sempre più standardizzato, sempre più uguale, sempre più fuori dal tempo. Fino a che è arrivata la crisi o il momento del rendiconto.
Una prova del Signore, ha detto una persona! Un castigo di Dio! ha detto un’altra. Una buona occasione per cambiare sistema! dice ancora un’altra. Io, la mia idea la ho e ho avuto modo di dirla in più occasioni.
A quelli che si strappano la tonaca domandandosi come ha potuto franare in maniera così repentina, io rispondo che la domanda sarebbe, in caso, un’altra: “Come ha fatto a durare così tanto a lungo?”. Ma lasciamo stare considerazioni sicuramente importanti ma che non si possono sbrigare in quattro e quattr’otto. Occorre tempo, umiltà e soprattutto libertà. Entriamo assieme nella grande fabbrica silenziosa. Prima, però togliamo il cappello e fermiamoci un attimo a pregare per tanta manovalanza sacrificata e rovinata in tutti ‘questi’ anni e secoli. E, facendo uno sforzo, spendiamo un recuie anche per le maestranze. Forse anche loro vittime di un sistema che uccideva l’uomo illudendosi di onorare quel Dio che l’aveva creato come coronamento del creato a sua immagine e somiglianza.
IL SOGNO DI UNA MADRE
Santità nella culla
Siccome i santi sono persone straordinarie rispetto alla normalità, come stelle che luccicano in un cielo tutto grigio, è evidente che anche la loro vita è differente di quella della “massa damnatorum” della “folla dei dannati” che saremmo noi. La differenza di base è la loro vita interiore, il loro grado di grazia, la santità delle loro anima, ma questo è troppo poco per i nostri occhi curiosi e allora bisogna che la straordinarietà di palesi anche dal di fuori. E non solo in morte o dopo morti, ma anche in vita.. L’ideale sarebbe che tutta la vita fosse fuori dalla nostra ordinarietà, che Dio palesasse la loro grandezza fin dai primi anni, per non trovare in loro ombra di normalità. I migliori sono segnati dal momento della nascita o addirittura prima.
Mi ricordi di aver letto, negli anni della mia formazione, un miscuglio di vite di santi ed agiografie, una più edificante di quell’altra, in cui Dio sfogava tutta la sua fantasia per sottolineare la santità dei suoi servitori. Bambini che nascevano con una piccola croce in mano, bambine alle quali uscivano di bocca delle api, culle da cui si sentivano canti mai sentiti, case che si illuminavano come se avessero preso fuoco e la gente correva spasimando coi i secchi e trovava un ragazzino bello come un angelo. Ci sono stati santi che, nei giorni di astinenza, vuoi il mercoledì o il venerdì, non volevano succhiare il latte materno e altri che hanno incominciato a parlare appena usciti dal grembo della madre.
Non mancano naturalmente i sogni e le premonizioni, strada consueta che Dio adopera anche nella Bibbia per avvertire degli esempi che sta preparando.
Ebbene, se invece di essere un beato prete, grande peccatore e eretico, fossi stato un san Giovanni Bosco, o un altro santo, anche nella mia vita avrebbero trovato qualcosa di straordinario. Per esempio il sogno di una madre.
Un piccolo prete avanti alla Madonna
Sono nato l’11 febbraio del 1941. In quel giorno la chiesa ricorda l’apparizione della Madonna di Lourdes a santa Bernardette. Può esistere un santo che non sia nato o morto in una giornata dedicata alla Madonna? Se deve tener conto che, a differenza della gente normale che vive in una quotidiana casualità, per le anime elette non esiste casualità e tutto ha un significato, compresi i giorni del calendario.
Quando stavo per nascere, mia madre si è sognata che, davanti all’altare della Madonna, c’era un bambino vestito da prete, con la piccola tonaca nera e la cotta bianca, tutto intento a guardare la Madonna e a pregare. Quella volta non si sapeva, come adesso, se nasceva bambino o bambina, e io non ero l’unico maschio della famiglia, avendo un fratello più grande di me e uno più piccolo. Mia madre non ha fatto nessun sogno con nessuno degli altri e dunque si può dire con relativa sicurezza che quel piccolo prete ero io.

giovedì 8 novembre 2007

LA BIBIE DAI FURLANS

Questa opera monumentale (oltre 2600 pagine, più le numerose cartine a corredo) può a ragione definirsi una pietra miliare nel panorama della letteratura e della storia del popolo carnico e friulano. E' la traduzione in lingua friulana (la lingua viva di ogni giorno) dell'Antico e Nuovo Testamento (l'intera Bibbia per intenderci), fatta direttamente dal testo greco e latino. Vi è l'IMPRIMATUR del card. Ruini (dato in Roma il 18 novembre 1997) e la PRESENTAZIONE degli allora vescovi del Friuli Storico (UD, GO, PN).L'autore di un tale immane lavoro non poteva che essere pre Antonio BELLINA, di chiare ascendenze carniche (Avaglio di Lauco) e canonico emerito della pieve-cattedrale di S. Pietro di Zuglio (ed attualmente parroco di Basagliapenta di Basiliano UD). Come si può intuire, si tratta di un lavoro enorme, che ha richiesto anni di assiduo lavoro, di metodica ricerca, di fine cesello, di amore smisurato per la Parola (Lògos, Verbum, Peraule).Pre Antoni Bellina vanta una ormai enorme bibliografia: oltre un centinaio di pubblicazioni, generalmente intonate su problemi religiosi e socio-culturali che comunque attengono sempre alla religiosità del popolo carnico e friulano. Sicuramente però LA BIBIE rappresenta il culmine e la sintesi della sua attività letteraria che, pur avendo spaziato ed ancora spaziando sull'universo mondo interiore dell'uomo alla ricerca di tutti i suoi conflitti, le sue ansie ed angosce, ha qui raggiunto (io credo) l'apice della sua espressività e della sua carica emozionale. Ogni parola friulana non appare ricercata o studiata, ma fluisce spontaneamente all'interno del racconto, senza forzature, coinvolgendo chi legge (chi legge il friulano? ducj i cjargnei e furlans a scuegnaressin tornâ a cjapâ in man l'imprest da noste lenghe!) in un' appassionante ricerca delle proprie radici non solo religiose, ma anche (e forse soprattutto) storico-culturali: eh sì, perchè pre Toni Beline possiede come nessun altro la lingua friulana, ne conosce ogni anfratto ed ogni sfumatura, riesce a piegarla dolcemente alla propria espressività che è sempre immediata e guizzante; pre Toni non scrive mai (ha mai scritto?) in italiano, pur essendo un fine intenditore della lingua e letteratura italiana, perchè ritiene che solo la lingua friulana (peraltro a forte rischio di estinzione) sia in grado di esprimere la totale profondità dell'animo carnico e friulano.L'opera appare davvero insuperabile dunque: dal punto di vista strettamente religioso offre il Logos in maniera nuova e diretta, prendendo quasi per mano sia il lettore che già conosce seppur distrattamente la Bibbia sia il profano che vi si accosta per la prima volta, magari con il solo intento culturale. Quest'ultima categoria di potenziali lettori potrà maggiormente beneficiare di questa lettura (una pagina per sera, prima di spegnere l'abat-jour) proprio perchè questa Parola, così caldamente e naturalmente espressa nella nostra lingua materna, riuscirà più facilmente ad attecchire su un terreno ancora vergine ed in grado di accoglierla senza pregiudizi, inizialmente magari solo per un insito ed ancora inappagato senso di curiosità, retaggio inconsapevole della fanciullezza vissuta all'ombra del campanile.Sul Logos ovviamente (da non confondersi con la chiesa e le sue gerarchie!) non vi è nulla da dire o da aggiungere: il Logos è quello della Bibbia, antico di millenni. Qui cambia (eccome!) solo il modo di porgerlo. E il modo è quello tipico di pre Toni Belline.
Per questo ritengo utile e indispensabile che questo splendido libro (Biblos - Libri) possa entrare in ogni casa carnica e friulana, sia in quelle degli stanziali, sia (soprattutto) in quelle degli emigranti che si trovano distanti dalla Terra Madre e vivono in un contesto socio-culturale e linguistico del tutto differente da quello delle origini. Questa BIBBIA aiuterà sicuramente a mantenere vivo e nutriente quel legame, quella specie di cordone ombelicale che tutti i nostri emigranti mantengono con la Carnia ed il Friuli ma che sempre più spesso viene compresso, stirato, clampato quando non definitivamente reciso. Questa Bibbia eviterà tutto questo.


Ecco il riscontro di Pre Toni Beline (inviata il 16.10.2006):
... a pene scomençade a lei la tô recension sul gno lavôr grant, esaltant e fadiôs de Bibie, mi soi incorât parcè che no ai mai sintût, de bande de gjerarchie o dai predis o in gjenerâl di chê glesie che o servis di 41 agns cun lealtât e fedeltât, ancje se a mût gno, une peraule di afiet e di ricognossince cussì sclete e biele. Al veve di vignî un samaritan, un miedi (chei miedis che nô predis ju condanìn simpri come positiviscj e ateos), un cristian a dîmi ce che a varessin vût di dîmi lôr. Nol impuarte. Anzit, al impuarte ma no mi fâs vignî il convulç par lôr. E diseve la biade Marie da Vuiche di Rualp: "Al è mâl bassilâ par chei ch'a no bassilin". E cussì o fâs ancje jo. No pensi par chei che no pensin e no piert timp e energjis par chei che no lu meretin. Però, al dîs il vanzeli, al è simpri cualchidun che ti scolte, che ti capìs, che ti onore. E je cheste la grande sorprese e la grande sperance di chei che a cirin di puartâ insomp la lôr mission. No mi spietavi tancj compliments. Sore dut no mi spietavi tante precision e passion e dimostrazion che tu cognossis il test. Rivâ a dâi di bevi aghe frescje ancje a di un sôl plen di sêt, al ripae la fontane di dut il timp strassât a spietâ. Se cu la Bibie o ai rivât a dâi dignitât e santitât al nestri popul, il plui furtunât o soi jo. E o ringracii il Signôr di vê sielzût un biât predi cun pocje salût e virtût par fâ ce che altris di lôr, plui studiâts e grancj di me no àn rivât. E je propit vere che Diu al sielç i piçui par coionâ i grancj. La bibie le vevi scomençade a Rualp inmò dal 1976, l'an dal taramot, par judâ la mê int di Vençon cul libri di Jop. Po mi jeri fermât li, parcè che pre Checo no mi lassave fâ nuie, volint passâ a la storie come il Lutero dal Friûl. Se o ai rivât a fâ une strade tant lungje al è merit ancje di chês animis buinis che mi àn tirât pai pîts cuant che mi stavi svissinant a chel altri mont. Fra di lôr, dute int benedide, al è ancje il to non, e no di sigûr tal ultim puest. Jo o ai simpri vût un bon ricuart di te e o speri che ancje tu tu conservis un bon ricuart dal to assistent, ch'al devente ogni dì plui vecjo ma che nol rive a cressi in sintiment e in serietât. " Plui grant tu vens e plui stupit tu deventis" mi diseve puare mê mari di Davai.Mandi e grazie di dut. Ancje se no mi merti, ogni tant mi plâs sintî cualchi buine peraule. A disin che ancje al mus i plâs la semule. Ma bisugnarès domandâial a lui. Salude la tô e mê e nestre Cjargne e avodinsi al nestri san Pieri.
pre Toni